Skip to main content

I risultati della COP30: un’occasione mancata, ma uno spartiacque per ripensare il negoziato climatico

La COP30, svoltasi a Belém nel cuore dell’Amazzonia, si è chiusa lasciando l’amaro in bocca: una montagna di aspettative che ha partorito un topolino, come titolano in molti giornali. I risultati della COP30 si sono rivelati modesti, nessun impegno chiaro sull’uscita dai combustibili fossili, una roadmap globale ancora da costruire e decisioni deboli che rispecchiano le profonde divisioni geopolitiche in atto.

Una decisione finale senza forza vincolante

La Global Mutirão Decision non nomina i combustibili fossili e rimanda a strumenti futuri per accelerare la transizione. Il linguaggio adottato è volutamente generico, frutto di compromessi tra Paesi che spingono per l’ambizione climatica (come UE, PICs e Colombia) e blocchi che invece frenano (Golfo, Russia, Cina indecisa). Un passo indietro che ricorda da vicino la crisi di Copenaghen nel 2009.

Il decennale dell’Accordo di Parigi e il vuoto di leadership

A dieci anni dalla sua firma, l’Accordo di Parigi appare in affanno. Non solo perché gli obiettivi di contenimento delle emissioni sono ancora lontani, ma anche per la mancanza di una governance capace di attuare e verificare l’implementazione degli impegni presi.

Verso un nuovo ciclo?

Un elemento di speranza è emerso dalla richiesta condivisa da molti attori di iniziare già dalla COP31 (Turchia, 2026) un lavoro strutturato per riformare il negoziato: più trasparenza, più continuità, più capacità decisionale. La proposta colombiana di un evento speciale sulla “giusta transizione” nel 2026 potrebbe essere il primo passo.

Come già accaduto nel 2010 a Cancun dopo il fallimento di Copenaghen, anche oggi serve ripartire dalle fondamenta: chiarezza su ruoli e responsabilità, rafforzamento delle regole dell’Accordo di Parigi, e istituzione di uno spazio permanente per il confronto tra gli Stati.

Il ruolo delle imprese: oltre i limiti della politica

Se da un lato la COP30 segna un rallentamento politico, dall’altro emerge con forza il ruolo centrale delle imprese e dei territori nella transizione energetica. Mentre la diplomazia si arena, sono le azioni locali, gli investimenti in rinnovabili e i progetti di efficienza energetica a mantenere viva la traiettoria climatica.

In Helexia, continuiamo a credere che la decarbonizzazione non sia solo una necessità ambientale, ma anche una leva strategica per la competitività delle imprese. Ogni intervento che consente di ridurre consumi, produrre energia rinnovabile o abbandonare il gas è oggi più che mai urgente e rilevante.

Conclusione: un cambio di paradigma possibile

La COP30 ci ricorda che non basta aspettare le decisioni globali per cambiare rotta. La sfida climatica si vince agendo ora, nel concreto, con progetti sostenibili, collaborazione tra pubblico e privato, e un forte impegno nell’innovazione.

La speranza è che la COP31 possa segnare l’inizio di un nuovo ciclo negoziale, ma già oggi possiamo contribuire a colmare i divari lasciati aperti. Perché la transizione è reale solo quando diventa progetto, investimento, impatto misurabile.